Intervista – Thriller Magazine

Luigi Spagnol, autore de “La Signora della notte”di Marilù Oliva. 26 ottobre 2009

Luigi Spagnol si è prestato a rispondere a questa intervista che verte sul suo primo romanzo, “La signora della notte”, pubblicato da Edizioni Piemme: un thriller intenso, che procede a ritmo serrato, con interessantissimi riferimenti storici e la scrittura limpida, decisa, a tratti filmica, di chi con la scrittura lavora già da anni
Partiamo subito con una domanda tecnica.

Lei è autore di cinema e teatro nonché sceneggiatore televisivo (ha firmato serie come “Carabinieri”, “Linda e il brigadiere”, “Il bello delle donne”, “Caterina e le sue figlie”). Come è stato il passaggio dalle precedenti forme di scrittura a quella romanzesca?

Naturale. La narrativa offre indubbiamente una maggiore libertà rispetto alle fiction televisive. Nelle fiction televisive lo sceneggiatore propone ma chi decide sono le Reti, i produttori, gli editor delle Reti e dei produttori, qualche volta i registi. Nel cinema lo sceneggiatore può osare qualcosa di più. L’autore teatrale fa ciò che vuole. Tecnicamente, rispetto alle altre forme di scrittura, quella letteraria (ma anche quella teatrale) richiede una maggiore attenzione. Un buon romanzo non è mai tale per l’efficacia dell’intreccio, o solo per quello, è sempre la qualità del linguaggio, insieme al tono e alla forza dei personaggi, a fare davvero le differenza.

Perché la scelta del Thriller?

Il thriller consente dei meccanismi narrativi collaudati e un ampio uso di ingredienti graditi al grande pubblico dei lettori: tensione, ritmo, intrighi, colpi di scena. Chi sa padroneggiarli ha un’arma in più per raccontare, sviluppando bene il plot, anche altro. Il “genere” può essere un eccellente strumento per introdurre nella storia temi sociali, politici, civili. Ma il grande romanzo di genere vive soprattutto della grandezza dei suoi personaggi.
“La signora della notte” prende avvio da un incidente di macchina in cui, casualmente, entrano in contatto Pietro Rodano, boss mafioso, e il professor Alvise Prosdocimi, docente di Storia delle Religioni.

Perché la scelta di questi due personaggi agli antipodi che, per certi versi, rispondono ad un ossimoro?
Non volevo degli investigatori professionali, nelle varianti che hanno dato lustro ai thriller di matrice anglosassone. Sono partito da persone comuni, che da persone comuni, con tutte le loro fragilità, contraddizioni, ambiguità e idiosincrasie, si comporteranno fino alla fine.
Non so se il mio approccio al genere si possa definire originale, ma a me interessava raccontare due tipi profondamente diversi tra loro, come sono appunto Prosdocimi e Rodano, lo storico delle religioni e il mafioso, che per un caso fortuito si incontrano e insieme, obtorto collo, finiscono irretiti in un oscuro complotto che modificherà i loro itinerari e i loro destini. Inoltre due tipi dal profilo morale e le personalità così contrastanti, alla fine, non potevano che diventare amici per la pelle.

Le chiedo di parlarci del tema della fuga e della ricerca e del loro shining.
Il professore fugge dalle conseguenze di un delitto di cui è stato testimone e da una madre onnipresente e persecutoria, il mafioso insegue la figlia sedotta dai segreti e i misteri di una setta esoterica. Troveranno, dopo aver vissuto una quantità industriale di peripezie, la libertà interiore che deriva dalla piena accettazione di sé e soprattutto la certezza di un legame indissolubile, quello che a poco a poco si è creato tra loro: un risultato importante per due tipi così schivi e solitari. Insomma mi piace pensare che il viaggio di questa strana coppia possa avere una valenza anche iniziatica. Intorno a loro né bianco né nero, solo un grigio diffuso, perché “luce” e “tenebra” non appariranno mai come due schieramenti nettamente contrapposti.

Da Lubecca a Roma, da Gibilterra a Beirut, dal presente alla storia. Come ha impostato il lavoro per queste interessanti dilatazioni nello spazio e nel tempo?
Ho cercato di usare la Storia in modo strettamente funzionale, evitando sovrapposizioni pesanti con il presente. Quanto al metodo di lavoro, non saprei che dire. Nei romanzi talvolta le cose accadono perché lo decidono i personaggi, infischiandosene dei programmi e delle ragioni degli autori. Così è anche per i loro percorsi. Non c’è una regola fissa.

Una domanda curiosa: come si è documentato sulle armi medievali di cui si parla nell’opera?
Ne parla Eliphas Levi nella Storia della magia. Anche su internet c’è qualcosa.

Mi riaggancio alla sua attività di sceneggiatore: se trasponessero il suo libro in film, quale cast immagina adatto? Quali ambientazioni, quali musiche? E, potendo scegliere tra tutti quelli esistenti, quale regista?
Non ci sono soldi, e credo neppure la buona volontà, in Italia, per realizzare film di questo genere, anche se Giuseppe Battiston sarebbe un credibile professor Prosdocimi e Filippo Timi mi incuriosirebbe nei panni di Pietro Rodano. Nell’ipotesi di una coproduzione internazionale, direi: Philip Seymour Hoffman o Paul Giamatti nel ruolo del professore, Javier Bardem o Vincent Cassel in quello del mafioso; regia Polanski; musica Vangelis.

L’Apocalisse è un tema di grande attrattiva. Ce lo inquadra nell’economia del romanzo?
Sappiamo che il passato non muore mai, soprattutto quando cova uova malefiche. Spesso si ripropone in altre forme. Le due sette di cui parlo nel romanzo sono realmente esistite, una fu fondata addirittura da Carlo Magno, l’altra si sviluppò in Polonia nel Settecento; i continuatori moderni di quegli stessi culti, che tramano per destabilizzare il mondo, sono invece frutto di invenzione.
Ci chiediamo se sarà un gigantesco meteorite a distruggere un giorno la terra o la terra stessa a “implodere” per un surplus di incuria e ottusità da parte degli esseri umani, ma potrebbero esserci anche altre possibilità. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la disintegrazione del blocco comunista, diciamo pure della “chiesa” comunista, gli pseudoculti si sono moltiplicati in modo impressionante, ma molti degli adepti di questa confusa galassia sono incapaci di distinguere fra ansia di spiritualità e sete di dissoluzione. Se un nuovo Hitler o altri psicopatici carismatici riuscissero a canalizzare tutta l’energia negativa che oggi ristagna nel mondo, ci sarebbe quantomeno da preoccuparsi. E poi non dimentichiamoci dei fanatici monoteisti che non hanno mai smesso e mai smetteranno di uccidersi tra loro nel nome di Dio. Utilizzare armi chimiche, batteriologiche e/o nucleari, articoli sempre presenti nel mercato globale della morte, per una “santa causa” potrebbe diventare una tentazione irresistibile…
Detto questo, speriamo di vivere ancora a lungo.

Ha in cantiere altri romanzi? Progetti prossimi?
Sto scrivendo, sempre per Piemme, il seguito de “La Signora della notte”. Alvise Prosdocimi e Pietro Rodano, dopo aver cercato di costruire un’unica famiglia insieme alle loro “donne”, rispettivamente la madre e la figlia, litigano e si dicono addio. Ma torneranno presto in missione per salvare il mondo da nuovi e vecchi nemici dalla specie umana.

Ci saluta estrapolando una citazione dal suo libro?
È Eva Frank, la “signora della notte”, a parlare riferendosi alla setta da lei guidata al fianco del padre, discendente di un eresiarca del XVIII secolo che si autoproclamò messia:
“Noi siamo coloro che al dio di tenebra, al demiurgo usurputatore, all’ingannatore della progenie di Abramo hanno detto no. Siamo coloro, gli unici, che l’hanno sfidato. E che riscatteranno il mondo dalla tirannia e dalla menzogna guidando l’umanità intera verso una pietosa fine. Perché solo alla fine di tutto il vero e unico Dio, il Dio di luce, potrà ricomparire.”
A Eva Frank, nella parte finale del romanzo, il professor Prosdocimi risponderà così: “Vuole sapere cosa penso del vostro dio, signorina? Penso, piccola merda, che qualunque cosa esso sia, esista solo nelle vostre allucinazioni malate”.

Data: 26 ottobre 2009

Fonte: Thriller Magazine

aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa